mercoledì 6 dicembre 2006

UBU NELLA FORESTA

L’Uomo Bianco e la Luna nel pozzo.




UBU SETTETE anno 1, n. 2, GENNAIO 2004

Quando le parole di Ladjo si arrestano, frenandosi in una notte calda e scura nella terra di Takuara, vicino a Guirarochà, non riusciamo a credere di averle ascoltate. È una notte densa di preghiere, di danze e canti del popolo Guaranì Kaiowà, scandite dal ritmo di collane, di maracás e di parole antiche, da un agitato gruppo di anziani, bambini, guerrieri, donne, ragazzi... indigeni di questo solare popolo brasiliano, nello stato del Mato Grosso del Sud; confusi con alcuni spaesati e impacciati italiani, improbabile gruppo di Teatro di Roma, giunto qui per la seconda volta a incontrarsi con questo universo invisibile. È sabato 8 novembre, in una notte stracolma di stelle e ammantata da una eclissi di luna. Tutto il popolo Guaranì e Kaiowà sta danzando e “resando” (pregando attraverso il canto) per l’eclissi, per questo evento che porta fortuna, selvaggina e dona un segno di rinascita. Ladjo, nuovo capo della lotta di Takuara, di un grande terreno riconquistato a un violento fazendero, ricorda il padre Marcos Veron, conosciuto da noi lo scorso anno e ora assassinato da un pestaggio ordito dai pistoleros, la polizia locale. La sua ospitalità è commovente, le danze in nostro onore coinvolgenti e onorevoli, le richieste di aiuto profonde, essenziali, tristi! Ygramul è solamente un piccolo gruppo di teatranti, che cerca attraverso il mezzo del Terzo Teatro di modificare le situazioni, di cambiare le atmosfere, di migliorare il pensiero... ma quando la realtà si fa tanto disperata, le richieste si fanno violentemente legate ai SOLDI... le mani allora ci tremano e un senso di imbarazzo e di inadeguatezza ci stringe, scolora il naso da clown, sporca i guanti bianchi, scorda le chitarre e scioglie ogni cerone. Ladjo è arrabbiato e spaventato per la morte del padre, per i bambini che piangono il cibo, per un Brasile che li scavalca e pesta mentre loro cercano di tenere in piedi una cultura millenaria che sfuma e si sfoca... parla e ci racconta, in questa notte di battesimi e di festa, di come intende portare avanti il suo Campo; di come vuole far risorgere la cultura, e con le mani di pelle rossa e terrosa ci indica la sua scalcinata Ongussu (la Casa delle Preghiere), i bambini truccati e vestiti con gli abiti sacri, le maracás, gli archi, le “coccade” (corone di piume)...
Ma la più grande sorpresa è capire che Ubu è anche qui, è la causa di tutto questo; che i Guaranì Kaiowà lo conoscono bene, lo combattono e ne raccontano le gesta. Ubu qui vive in foresta, è Ubu Kaguy. Loro lo chiamano in molti modi, ma il nome più comune in Guaranì Kaiowà è Agnà; è un uomo crudele, egoista e solitario; vive in foresta ed escogita tranelli, sfide, trappole contro il popolo indigeno e contro chi ha la sventura di incontrarlo. Possiede un pozzo, una voragine, nella quale ha fatto precipitare la Luna, e che usa anche per gettarvi i resti delle persone e degli animali che mangia. È temuto, ma è anche amato, perché è giocoso, scherzoso, allegro. Mentre Ladjo parla delle gesta di Agnà, enormi addomi a spirale ci sfilano nella mente, omoni ingordi e deformi, dalle risate grasse e i pensieri lenti. Ubu è anche qui, gli indigeni lo conoscono da sempre, lo temono e contemporaneamente lo stimano, perché egli possiede anche conoscenze e segreti, ricchezze e oggetti... Ma Agnà, ci racconta Ladjo mentre il suo volto viene lambito dai primi raggi di luna, Ubu/Agnà è soprattutto un uomo, un grande Uomo Bianco!

[Riserve del popolo indigeno Guaranì Kaiowà]

Nessun commento: