martedì 10 ottobre 2006

Teatrerie 14 // Radici a San Cleto

La signora Annina, con il suo accento napoletano e la borsetta stretta al
fianco, guarda il soffitto rovinato del Teatro in costruzione e mi dice con
ironia: "Ma com'è che vi è venuto in mente?"
Noi, Ygramulli di questo strano Teatro Patafisico, non sappiamo bene
rispondergli, c'è solo un senso profondo di "resistenza" che si
confonde con la voglia di costruire percorsi, reti, radici.
Così, mentre da un lato seguitiamo ad indagare sulle origini di un
fantomantico Santo che forse era un frate, dall'altro incontriamo ed
intervistiamo il quartiere e seguitiamo a discutere e a litigare nella sola
speranza di riuscire a 'radicare' il Teatro in una periferia così bella e
lontana. Sappiamo che molti sono gli abitanti (di ogni età) che hanno
desiderio di affacciarsi nelle sale di Ygramul,
speranzosi di danzare, ascoltare fiabe, osservare un buon film, imparare...
eppure servono molte forze e una costanza
forsennata. Con le nostre disciplinate Rassegne (ritmate a gli ultimi giorni
di ogni mese) sappiamo di poter lentamete spargere
quel tam-tam necessario a generare la vibrazione di curiosità e di interesse
che porteranno il quartiere di San Cleto ad affacciarsi al
Teatro... coinvolgeremo le scuole, gli anziani, i ragazzi/e, il pubblico di
ogni ceto sociale, livello culturale, religione ed età.
Già dall'inizio di questo mese di Ottobre sono cominciati i nostri ricchi e
variegati Laboratori serali e da Novembre ne seguiranno altri.... e
Seminari, Corsi, Incontri. Per resistere dobbiamo sempre più spalancarci al
quartiere ed abbracciare le realtà artistiche indipendenti e nascoste che vi
vivono in anonimato (musicisti, scrittori, pittori, ecc.), tentando di avere
lentamente
un riguardo da parte del Municipio, una richiesta culturale delle scuole, ed
un appoggio dalle reti teatrali romane. San Cleto, con il
Teatro Ygramul (come già abbiamo mostrato durante la 'Notte Bianca'
autorganizzata e gestita con i teatranti di Teatro In Movimento) deve
diventare un nuovo incrocio delle vie spettacolari-politiche-culturali
romane, per smontare un sistema artistico borghese ove vive solo il centro
cittadino e spostare la cultura nelle vere periferie, in ascolto e contatto
con il territorio...
sotto il segno di questa politica culturale è importante venire sabato 28
Ottobre ad ascoltare la musica di Claudio Zilli (ragazzo appassionato di
Rino Gaetano, radice nel territorio di San Cleto), e contemporaneamente
assistere Mercoledì 25 allo spettacolo
'Viageatruà' (gruppo indipendente che poggia i suoi rami in maglie
universitarie, nella rete dei Teatri In Cortile...), e sentire l'importanza
di spostare, dal centro di Roma, l'attenzione sul Cinema (tanto focalizzata
all'Auditorium) nell'altrettanto alta e interessante qualità di Domenica 22,
con il corpo dell'Estetica Amatoriale Audiovisiva'.
Invitaiamo dunque l'ampio pubblico del centro storico romano a lanciarsi
nelle periferie, per visitare con buon paradosso gli eventi centrali di una
Rassegna come quella al Rialto Sant'Ambrogio per UbuSettete, ma non
dimenticare l'agire ai Castelli Romani degli Olivieri Ravelli, il movimento
sulla Prenestina di Residui Teatro, lo studio del Labit, le creazioni del
Triangolo Scaleno....
ed il Teatro Ygramul con le sue rassegne a fine mese. Che ogni realtà si
'radichi' con le altre, per allargare il respiro teatrale romano.

lunedì 9 ottobre 2006

Teatrerie 14 // Sono arrivata a Tirana...

... il 29 novembre 2004, inviata dalla O.N.G. Magis con lo scopo di realizzare un laboratorio teatrale integrato per gli alunni dell'istituto per non udenti con ragazzi normo-udenti. Il 29 Novembre è un giorno sbagliato per iniziare a lavorare, perché è la data di una festa nazionale molto importante e com'è buona usanza in Albania, un giorno di festa è accompagnato da almeno altri due o tre giorni di riposo dalla festa. Scendo all'aeroporto di Rinas e Florin, l'autista dell'O.N.G. partner albanese, mi prende e mi porta a Tirana con un macchinone della cooperazione italiana. La strada dall'aeroporto a Tirana è tutta buche, nella prima parte attraversa una campagna semi urbanizzata, nel senso che ci sono tante case in costruzione e anche case costruite ma con il tetto ancora di cemento grezzo con l' armatura di ferro delle fondamenta che fuoriesce, a cielo aperto.
"Come mai tutte le case sono così?" - chiedo a Florin e lui che è di poche parole mi dice: "Aspettano il momento giusto per salire di un piano... quando hanno i soldi.o se si sposa un figlio." E' questa è la prima immagine dell' Albania, un cantiere senza regole. La seconda è quella di una vecchia in mezzo ad un aiuola, che tiene con un guinzaglio di corda una mucca. L'aiuola però, è una grande rotonda per svoltare verso Durazzo o verso Tirana, alle sue spalle un gigantesco cartellone della Vodafone. Secondo pensiero: qui passato e presente sono ancora molto intrecciati. Io la guardo e rimango a bocca aperta, lei mi risponde con un sorriso sdentato, anche Florin sorride, allora io approfitto di questo suo scioglimento per fare la domanda stupida che ho nella testa da quando sono salita sull' aereo dell'Albanian: "Voi dite Albània o Albania?" e lui: "Sciperia!" [Sqhiperia]. Questo è il nome dell'Albania, in albanese, vuol dire terra delle aquile. noi, gli stranieri, la chiamiamo Albania, paese dell' alba, e allora forse capisco la cosa più importante: di questa terra non so nulla! Stiamo per entrare in città: traffico, tanto, troppo e puzza di fumo, di smog. é impossibile respirare perché oltre ai gas, che qui non sono certo raffinati, c'è la polvere, la polvere dei cantieri, dei palazzoni in costruzione, giganti in cemento da 10 o 15 piani, impalcature senza sicurezza e vasi di fiori nei primi balconi , già ci abitano dentro!. C'è fame di case qui. Arrivo nel mio alloggio, una stanza della Caritas, ho un'ora per rinfrescarmi prima di iniziare con gli appuntamenti. Accendo la luce, non c'è. Apro la finestra ci sono degli operai che stanno buttando giù la casa davanti, tengo la tapparella semichiusa, quanto basta per potermi muovere senza sbattere e vado in bagno a lavarmi, non c' è acqua. Cerco il portiere e lui: "No acqua, no luce. tre.. quattro ore niente!.sempre così a quest'ora! " allora capisco un altra cosa: qui i problemi sono di tutt'altra natura di quelli che posso conoscere io. Poi iniziano gli incontri:il direttore dell'istituto per non udenti, il responsabile di un centro scout per trovare dei ragazzi normo-udenti, qualche insegnante e tutti mi fanno capire in modo più o meno diretto che la mia venuta è inutile, che un progetto di integrazione per disabili non ha senso in un paese dove la parola integrazione non ha lo stesso senso che intendo io, in un paese dove la povertà rafforza la discriminazione e le differenze. "È impossibile!"- mi dice un italiano che lavora lì da anni - "Nessuno varcherà quel cancello, entrare in quell'istituto significa passare dalla parte degli ultimi e qui tutti vogliono diventare i primi, scrollarsi di dosso la povertà, il passato, tutto quello che li fa sentire dei pezzenti o miseri". Ma quando incontro i bambini dell' istituto, che mi vengono incontro con un grande sorriso, che mi abbracciano e baciano, perché non hanno parole per dire: "Chi sei? Benvenuta! Giochi con noi?!" Non lo possono dire e così tutto passa per il contatto fisico, intenso, caloroso, quasi soffocante, sento chiaramente dentro di me che è tutto possibile e comincio a capire che sarà l'esperienza più estrema e più bella della mia vita. Nei primi giorni seleziono i ragazzi più grandi, tra i 14 e i 17 anni, per fare il laboratorio e già dal primo incontro capisco che ho davanti dei ragazzi speciali, quello che non riescono a dire a parole lo dicono in maniere più piena con gli occhi, i gesti, il corpo. Hanno un espressività e un immediatezza comunicativa che un attore ci arriva solo con tanto studio o perché è un vero talento. Loro si affidano dal primo momento, non hanno idea che quello che gli chiedo di fare ha a che fare con il teatro, loro semplicemente si liberano, inventano, creano, giocano. Poi arrivano i coetanei udenti che sono riuscita a recuperare nelle scuole limitrofe, senza autorizzazioni, senza appoggi istituzionali, semplicemente dicendo: "Sono Italiana! Vorrei parlare con il direttore o con qualche insegnante." Ed ecco che ogni volta si spalanca la porta e il cuore , basta dire sono Italiana e il volto duro delle bidelle che mi sbarrano il passaggio si scioglie. Perché in Albania, l'Italia è un sogno, è una terra sorella, che sorride dalla televisione, che canta da Sanremo, la terra di Celentano, del lavoro, dove ci sono i loro figli, mariti, parenti. E allora forti abbracci e prima di entrare a scuola si va al bar, perché si deve bere un caffè insieme e devono sempre pagare loro. Quanto generosità in Albania e quanta ingenuità, loro ci credono così amici, così aperti nei loro confronti e così sereni come gli spot della pubblicità. I ragazzi che vogliono venire a fare il laboratorio sono tanti: settanta partecipano alla selezione, ne scelgo dieci. Ed ecco che l'impossibile diventa possibile. Quanto pregiudizio e auto-disprezzo fiacca l'Albania! L' incontro tra gli udenti e i non udenti all'inizio è sereno, c'è tanta curiosità e allegria. Gli udenti restano a bocca aperta davanti all'abilità fisica e alla capacità dei non udenti di improvvisare e raccontare senza parole emozioni, situazioni e rapporti. I non udenti invece, vedono negli udenti una libertà e una sicurezza che loro che vivono chiusi dentro l' istituto non hanno. Poi c'è una fase di conflitti, di inimicizie, anche di botte, ma il lavoro insieme elimina i problemi e li muove verso lo stesso obiettivo. L'obiettivo è arduo: mettere in scena "Sogno di una notte di mezza estate" di William Shakespeare. Nella fase finale del laboratorio vengono a Tirana due straordinari artisti, uno scenografo e una costumista che attivano i laboratori di scene e costumi coinvolgendo i ragazzi e alcuni insegnanti. Si avvicina la data dello spettacolo e tutto di nuovo sembra impossibile: il direttore si diverte a metterci i bastoni tra le ruote ogni giorno, il teatro si inventa problemi per spillare sempre più soldi, gli insegnanti fanno a gara per farmi impazzire , in più non abbiamo il pulmino per andare in teatro e portare trenta ragazzi di cui venti sono non udenti in giro per Tirana non è facile , ma io mi fido di loro come loro si fidano di me e così il primo giorno di prove in teatro andiamo con l' autobus e ci portiamo dietro anche una parte delle scenografie. Entriamo in teatro, per molto di loro non è solo la prima volta sul palco , la anche la prima volta in teatro, non hanno mai fatto gli spettatori e sono già attori. Abbiamo provato con grande impegno, per tre giorni, al teatro nazionale dei bambini di Tirana e il giorno della generale realizzo che sta prendendo corpo un sogno. Poi arriva il pubblico, quello vero, fatto di tanti sconosciuti. Io seguo lo spettacolo dalla sala regia e da su sento l'emozione del pubblico, le loro risate , i loro applausi ripetuti, caldi. Alla fine dello spettacolo attraverso la platea e vedo tanti occhi umidi, tutti in piedi applaudono, quanti ringraziamenti e quanta commozione, alcuni si chiedono chi era sordo. "Come quasi tutti?...Non è possibile, ma sono normali e bravi, bravissimi!"- Altri invece, se ne sono dimenticati. Salgo sul palco. Che gioia per loro, stare davanti a tanta gente che li festeggia, tutti quei ragazzi e ragazze udenti che li acclamano, che voglia di conoscerli. I più sfacciati del gruppo fanno i buffoni con le ragazze in prima fila, mentre i più timidi hanno gli occhi sgranati dalla gioia. Chiudono il sipario e non riesco a portarli dietro le quinte, si buttano sul pubblico, vanno ad abbracciarli a stringere le mani a prendere fisicamente quel calore. I più estroversi continuano a giocare la loro parte con il pubblico. Nei camerini non trovo Lorence ed Auloni, due degli attori non udenti, esco e li vedo davanti al teatro, con un grande cerchio di persone intorno, che improvvisano una scena comica. Che Clown!!! Non hanno solo fatto un bello spettacolo, hanno danzato la vita sul palco, si sono dimenticati della loro paura del mondo esterno, del loro handicap e gli udenti, che solitamente spiano dal cancello dell' istituto, per loro non sono più degli estranei che possono deriderli. Sento dentro di me il rumore di un esplosione, è l'esplosione del muro della discriminazione che frana a terra e mi sento leggera, tanto leggera come leggeri sono i passi dei miei ragazzi che calpestano le macerie di quel muro che hanno abbattuto così coraggiosamente. Il sogno si è realizzato e ha contagiato chi era presente, infatti le autorità hanno riconosciuto il valore di questa esperienza e ci hanno permesso di andare avanti. L'Istituto Italiano di Cultura ci ha sostenuto per fare altre repliche e grazie al Ministero degli Esteri italiano lo spettacolo è andato in giro per l'Albania e ora in Ottobre-Novembre verrà in Italia. Saranno a Roma il 2 Novembre e poi a Bari , Torino, Milano. Ma spesso quando si sveglia la capacità di sognare si affaccia anche la possibilità di deludere, ora i ragazzi hanno finito l' istituto e quando torneranno in Albania non hanno niente, né la possibilità di continuare gli studi, né un lavoro. Il nostro sogno ora è di raccogliere dei fondi con la repliche e con una campagna di sensibilizzazione per permettere ad ognuno di loro di cominciare a vivere nella propria società non come un peso o un problema, ma serenamente e in modo dignitoso.

T. S.

Teatrerie 14 // Tracce in Dissolvenza di un Edzi Re

Uno giorno è trascorso, una performance è svanita. Quello che resta sono tracce nella memoria di uno spettatore, frammenti di sensazioni che lentamente si assopiscono nel tempo, molecole di fumo ancora impregnate nei nostri tessuti. Sono le 21: equalcheminuto; il regista ha appena lanciato il suo ultimo annuncio all'intero quartiere, come un Colombo prima di salpare verso le sue Indie. Siamo in pochi, questo giorno, a poter assistere ma le porte si aprono a prescindere; con la stessa logica di un abbraccio. Davanti a noi troviamo un gruppo di attori vestiti di nero con dei guanti bianchi che ci osservano; che ci parlano; che ci accompagnano a sedere su delle panche un po' scomode; che vagano per la stanza, tra parallelepipedi di ferro, borbottando vecchie battute. Preludio di un inizio. Mentre gli sciamani preparano i loro corpi subentra il regista ad indirizzare la nostra percezione. Ci sussurra la struttura base della drammaturgia: tre blocchi che sfumeranno uno nell'altro per una durata di novanta minuti; una prima parte costituita da singoli diari di bordo del loro viaggio in Malawi, una seconda parte che seguirà l'Ubu-Patafisica di
Jarry ed una terza modellata sugli archetipi dell'Edipo re di Sofocle. Si prega di resistere, in caso contrario, le porte per una momentanea fuga saranno sempre aperte. Quanto basta. Un attore si avvicina. Schiaccia un faro portandosi via la luce. Buio. Ora è tutto da modellare. Una nuova luce allaga la scena, da questo momento una valanga di input ci travolge. Seguiranno stralci di vedute. Cattive interpretazioni di un discorso già assimilato e parzialmente decodificato. Ogni attore è imprigionato in una sua struttura di ferro. Si parlano addosso. Si criticano. Si/ci pongono
domande. Perché un viaggio in Africa? Che senso dare al loro teatro? Si può combattere L'Aids ? Dove risiede l'origine du mal ? Soccombono alle loro domande, si lasciano schiacciare da pesanti punti interrogativi per poi decidere "semplicemente" di fare. Chi si abbandona al viaggio libera le membra del suo corpo da pesanti catene, chi rimane invece, lascia che il suo corpo si fonda con l'inorganico della metropoli post-moderna, come un personaggio di Shinya Tsukamoto o di Cronenberg. Dicotomie elettriche. Attriti che fanno scintille. Mentre una musica tribale, suonata dal vivo, spinge verso l'Africa. Slowly-slowly il ritmo richiama questi corpi occidentali verso il Sud per poi travolgerli immediatamente con scariche di cultura ignorata, di sapori diversi, di colori nuovi, di musiche legate alla terra ed al cielo, di storie vecchie e dimenticate. L'Africa. E il suo Male. La sfumatura è già scivolata nel secondo blocco. Cambiano le voci. Cambiano i corpi. Padre Ubu irrompe nella scena sputando sui suoi palotini, denigrando madre Ubu, mordendo gli attori del gruppo Ygramul, offendendo Bugrelao, distruggendo il viaggio africano, fregandosene della ricerca. Padre Ubu è cattivo ma nel senso di marcio, guastato dal cinismo contemporaneo. Così, con la seconda auto-critica, quella più feroce, il Gruppo intero viene scaraventato in una botola, risucchiato dal teatro stesso che lo ospita. Inutile la fuga. Guai a chi ride. Padre Ubu è una iena che ringhia contro tutto e tutti. Contro attori e spettatori ma soprattutto, contro se stesso. Secondo buio. Seconda morte. Questa volta più marcata. Un mezzo applauso si affaccia tra il pubblico ma qualche cosa ci frena. È vero, c'è silenzio. C'è buio. Ma non c'è vuoto. Una strana Assenza appesantisce l'atmosfera. Tutti se ne accorgono. Una breve quiete prima della tempesta. È l'istante prima della rinascita. Ecco, infatti, sbucare lentamente dalla botola i personaggi dell'Edipo Re. Stanchi, sudati, stremati. Si attorcigliano, si spogliano, si sporcano di fango, ricostruiscono le strutture di ferro; lentamente si riapre il ritorno nell'Occidente. Ubu - Edipo - il re. Tutti esortano ad abbandonarlo. In qualche modo lo spettacolo è finito. Molte cose mi sono sfuggite, parecchio senso è stato perso. Soprattutto nella parte conclusiva. Questo fa parte della natura stessa della performance che risiede nel qui ed ora. Nell'irripetibile. La performance non è mai riuscita o no ma legata sempre al concetto d'intensità. Una sera è più intensa, un'altra lo è meno e questo è dovuto ad una lunga serie di variabili. Dalla concentrazione dei performer, dalla
predisposizione del pubblico a voler ascoltare ed a voler collaborare nella costruzione del significato, dalla stanchezza, da distrazioni varie, etc. Questa volta, ad esempio, mancava Simone e il suo gigante cattivo che, nel viaggio africano, distruggeva ogni cosa ad ogni suo passo. È mancato "l'effetto botola", mostrato per un incidente, prima del dovuto. È mancato l'effetto di una luce fulminatasi per le leggi di Murphy. Ma c'è stato anche molto più gioco tra gli attori, rispetto alle prime volte che ho partecipato. C'è stata più predisposizione a voler mostrare. Una serata diversa dalle precedenti e dalle future. Una nuova impronta sulla mia pelle che lentamente assorbo.

V.O.