lunedì 9 ottobre 2006

Teatrerie 14 // Tracce in Dissolvenza di un Edzi Re

Uno giorno è trascorso, una performance è svanita. Quello che resta sono tracce nella memoria di uno spettatore, frammenti di sensazioni che lentamente si assopiscono nel tempo, molecole di fumo ancora impregnate nei nostri tessuti. Sono le 21: equalcheminuto; il regista ha appena lanciato il suo ultimo annuncio all'intero quartiere, come un Colombo prima di salpare verso le sue Indie. Siamo in pochi, questo giorno, a poter assistere ma le porte si aprono a prescindere; con la stessa logica di un abbraccio. Davanti a noi troviamo un gruppo di attori vestiti di nero con dei guanti bianchi che ci osservano; che ci parlano; che ci accompagnano a sedere su delle panche un po' scomode; che vagano per la stanza, tra parallelepipedi di ferro, borbottando vecchie battute. Preludio di un inizio. Mentre gli sciamani preparano i loro corpi subentra il regista ad indirizzare la nostra percezione. Ci sussurra la struttura base della drammaturgia: tre blocchi che sfumeranno uno nell'altro per una durata di novanta minuti; una prima parte costituita da singoli diari di bordo del loro viaggio in Malawi, una seconda parte che seguirà l'Ubu-Patafisica di
Jarry ed una terza modellata sugli archetipi dell'Edipo re di Sofocle. Si prega di resistere, in caso contrario, le porte per una momentanea fuga saranno sempre aperte. Quanto basta. Un attore si avvicina. Schiaccia un faro portandosi via la luce. Buio. Ora è tutto da modellare. Una nuova luce allaga la scena, da questo momento una valanga di input ci travolge. Seguiranno stralci di vedute. Cattive interpretazioni di un discorso già assimilato e parzialmente decodificato. Ogni attore è imprigionato in una sua struttura di ferro. Si parlano addosso. Si criticano. Si/ci pongono
domande. Perché un viaggio in Africa? Che senso dare al loro teatro? Si può combattere L'Aids ? Dove risiede l'origine du mal ? Soccombono alle loro domande, si lasciano schiacciare da pesanti punti interrogativi per poi decidere "semplicemente" di fare. Chi si abbandona al viaggio libera le membra del suo corpo da pesanti catene, chi rimane invece, lascia che il suo corpo si fonda con l'inorganico della metropoli post-moderna, come un personaggio di Shinya Tsukamoto o di Cronenberg. Dicotomie elettriche. Attriti che fanno scintille. Mentre una musica tribale, suonata dal vivo, spinge verso l'Africa. Slowly-slowly il ritmo richiama questi corpi occidentali verso il Sud per poi travolgerli immediatamente con scariche di cultura ignorata, di sapori diversi, di colori nuovi, di musiche legate alla terra ed al cielo, di storie vecchie e dimenticate. L'Africa. E il suo Male. La sfumatura è già scivolata nel secondo blocco. Cambiano le voci. Cambiano i corpi. Padre Ubu irrompe nella scena sputando sui suoi palotini, denigrando madre Ubu, mordendo gli attori del gruppo Ygramul, offendendo Bugrelao, distruggendo il viaggio africano, fregandosene della ricerca. Padre Ubu è cattivo ma nel senso di marcio, guastato dal cinismo contemporaneo. Così, con la seconda auto-critica, quella più feroce, il Gruppo intero viene scaraventato in una botola, risucchiato dal teatro stesso che lo ospita. Inutile la fuga. Guai a chi ride. Padre Ubu è una iena che ringhia contro tutto e tutti. Contro attori e spettatori ma soprattutto, contro se stesso. Secondo buio. Seconda morte. Questa volta più marcata. Un mezzo applauso si affaccia tra il pubblico ma qualche cosa ci frena. È vero, c'è silenzio. C'è buio. Ma non c'è vuoto. Una strana Assenza appesantisce l'atmosfera. Tutti se ne accorgono. Una breve quiete prima della tempesta. È l'istante prima della rinascita. Ecco, infatti, sbucare lentamente dalla botola i personaggi dell'Edipo Re. Stanchi, sudati, stremati. Si attorcigliano, si spogliano, si sporcano di fango, ricostruiscono le strutture di ferro; lentamente si riapre il ritorno nell'Occidente. Ubu - Edipo - il re. Tutti esortano ad abbandonarlo. In qualche modo lo spettacolo è finito. Molte cose mi sono sfuggite, parecchio senso è stato perso. Soprattutto nella parte conclusiva. Questo fa parte della natura stessa della performance che risiede nel qui ed ora. Nell'irripetibile. La performance non è mai riuscita o no ma legata sempre al concetto d'intensità. Una sera è più intensa, un'altra lo è meno e questo è dovuto ad una lunga serie di variabili. Dalla concentrazione dei performer, dalla
predisposizione del pubblico a voler ascoltare ed a voler collaborare nella costruzione del significato, dalla stanchezza, da distrazioni varie, etc. Questa volta, ad esempio, mancava Simone e il suo gigante cattivo che, nel viaggio africano, distruggeva ogni cosa ad ogni suo passo. È mancato "l'effetto botola", mostrato per un incidente, prima del dovuto. È mancato l'effetto di una luce fulminatasi per le leggi di Murphy. Ma c'è stato anche molto più gioco tra gli attori, rispetto alle prime volte che ho partecipato. C'è stata più predisposizione a voler mostrare. Una serata diversa dalle precedenti e dalle future. Una nuova impronta sulla mia pelle che lentamente assorbo.

V.O.

Nessun commento: