http://www.parolibero.it/it/spettacolo/vania-castelfranchi.htm
incontro/intervista col regista romano Vania Castelfranchi
L'Affabulazione balinese del teatro Ygramul
il gruppo Ygramul cerca nuovi attori per lo spettacolo "Affabulazione",
performance nata dall'innesto di Pasolini nella cultura balinese
Il Gruppo Integrato di Ricerca e di Teatro Patafisico Ygramul LeMilleMolte
nasce in maniera disordinata e complessa attorno al 1996 (quando alcuni dei
suoi fondatori uscirono dall'Accademia nazionale d'arte drammatica Silvio d'
Amico) per poi prendere una loro forma nel Giugno del 2006 quando si
stabilirono in un teatro-cantiere nel periferico quartiere romano di San
Basilio/San Cleto. Il significato del suo agire lo si può rintracciare nel
lungo nome che li compone ed infatti Ygramul LeMilleMolte, uno dei personaggi
presenti nel romanzo di Michael Ende "La storia infinita", è descritto come un
orribile creatura costituita non da un unico corpo compatto bensì da un'
inimmaginabile quantità di minuscoli insetti color azzurro acciaio che ronzano
come calabroni infuriati in foltissimi sciami. Sciami che di volta in volta
assumono le forme più disparate, sciami il cui morso ti permette di viaggiare.
Ed è proprio da questa definizione che parte la poetica e la politica del
Gruppo che, oramai, ha trovato il suo essere nelle interrelazioni tra soggetti
differenti e nell'agire sulle e con diversità. Uno sciame, dunque, indefinito e
interminabile di presenze più o meno teatrali (attori di diversa formazione,
scenografi, scrittori, musicisti, architetti, antropologi, disegnatori, etc…)
nato dall'idea base, non originale ma sicuramente sperimentale, di formare un
punto d'incontro (delle prove/scambio in uno spazio/tempo) dove soggetti
diversi potessero barattare i loro strumenti. Ecco allora perché la definizione
di Gruppo continua ad articolarsi in: INTEGRATO (perché tende a costruire l'
integrazione con diversità culturali, fisiche, mentali, sociali trasformando le
conoscenze nelle arti dello spettacolo in reti di dialogo), di RICERCA (sia per
il tentativo di lavorare nella ricerca di nuovi linguaggi teatrali sia per l'
agire in differenti direzioni collaborando alla produzione di riviste, di CD,
di fumetti, di video), di TEATRO (perché è lo strumento principale delle loro
azioni) e PATAFISICO (perché il modus operandi è strettamente connesso alla
"scienza delle soluzioni immaginarie" di Alfred Jarry ed Antonin Artaud).
Tipico frutto della modernità liquida descritta da Baumann, gli Ygramul
LeMilleMolte sono la risultante costante di vari innesti: da un personale
studio sull'incontro (con il sé, con l'estraneo, con il diverso, con il testo,
lo spazio, il gesto ma anche nei suoi laboratori presso carceri, presso l'
Istituto di Igiene Mentale, nelle scuole, con attori professionisti e non, nei
loro viaggi tra culture altre) ad una continua ricerca su varie metodologie di
lavoro. Il regista Vania Castelfranchi ed il gruppo affrontano il confronto e
lo scambio nei loro baratti culturali sempre con materiali diversi, non
quotidiani, inaspettati ed inusuali come anche in luoghi o con persone
"invisibili", cancellati, perché solo con ciò si riesce ad imprimere nelle
proprie azioni un impeto politico, una voglia di intervento-allarme-difesa-
messaggio, un diritto legato alla lotta non-violenta per la difesa/attenzione
verso le minoranze. Nel libro "Sensi di Viaggio" l'antropologo Marco Aime
descrive il viaggiatore focalizzandosi sul limite del corpo che si indebolisce
e da confine diviene frontiera, diviene terra di scambio, ed è proprio in
questa visione che dal 2002 il Gruppo Ygramul ha iniziato a percorrere la
strada del "Terzo Teatro" e del "baratto culturale" di Eugenio Barba
affrontando una lunga serie di viaggi/percorsi che li hanno portati Dal Mato
Grosso in Brasile all'Amazzonia, lungo il Rio Negro, per incontrare-aiutare i
popoli Guaranì Kaiowà e Saterè Mawè, e poi in Africa attraverso il Malawi, in
Indonesia attraverso Bali. A tal riguardo a breve si terranno i provini per lo
spettacolo "Affabulazione" di Pier Paolo Pasolini nato proprio da questa loro
ultima esperienza in Indonesia ed è da questo punto che parte la seguente
intervista al regista Vania Castelfranchi.
Il seguente incontro è stato registrato il pomeriggio del 8 Febbraio 2010 a
Roma, presso il teatro Ygramul nel quartiere di San Basilio/San Cleto. Incontro
Vania appeso ad una scala mentre cerca di terminare i nuovi lavori per la
"graticcia" ma al mio arrivo ne approfittiamo immediatamente per una breve
pausa sotto un sole raramente tiepido.
Domanda - Ho letto che nei giorni 11 e 18 Febbraio, 4 e 11 Marzo, dalle ore 16
alle 19 si terranno presso il vostro spazio in via N.M.Nicolai 14, dei provini
per la ricerca di nuovi attori nello spettacolo "Affabulazione" di Pier Paolo
Pasolini (per informazioni e prenotazioni: ufficioygramul@libero.it). Mi
potresti parlare un po' di questo spettacolo?
Risposta – "Affabulazione" è uno spettacolo veramente… diciamo partorito in
maniera molto dolorosa perché… come in molti altri spettacoli Ygramul ha avuto
un progetto preventivo del viaggio… quindi è stato preparato prima di partire
per l'Indonesia, a Bali… oramai tre anni e mezzo fa, praticamente. Ha vissuto
una lunghissima gestazione in Indonesia, a Bali, con gli attori che
partecipavano al viaggio e che nella mente erano già proiettati verso
"Affabulazione". È stato costruito anche lì, sera per sera… ogni sera ci
riunivamo, ne parlavamo, lo scrivevamo, lo progettavamo… ci facevamo cogliere
dall'esperienza. E poi è stato creato quando siamo ritornati. Però, nella
creazione, già al nostro ritorno c'era… tra virgolette… un incidente in corso…
in realtà non è un incidente ma una cosa molto bella. Essendo Monica incinta
abbiamo progettato lo spettacolo sapendo che saremmo andati in scena per
pochissime repliche per poi dare "spazio" a Monica per partorire. E quindi...
già lì, insomma… già si era capito che il percorso sarebbe stato molto
frastagliato. Siamo andati in scena col primo studio… l'abbiamo chiamato così…
su "Affabulazione" che già conteneva tutti gli appunti di regia, le idee che
abbiamo avuto, le poetiche… la politica forte dello spettacolo. Dopo le prime
repliche… che mi sembrano state esser sei o otto, non mi ricordo… abbiamo fatto
questo stop lungo quattro mesi. Già poco prima dell'andata in scena c'era stato
un abbandono da parte di Antonio, uno degli attori che era stato con noi in
Indonesia, e quindi sono subentrato io. Ho iniziato a fare sia la parte di
occhio esterno… di regista… sia di attore… che non è mai una buona cosa per uno
spettacolo… e questo ha creato sia una rallentamento nella struttura sia,
secondo me, delle crepe sulla regia. Però era un buon modo per portare lo
spettacolo in scena. Una volta andati in scena abbiamo iniziato il secondo
studio. Nel secondo studio c'è stato anche l'abbandono di Paolo Parente e
quindi è subentrato Simone. Questo ha cominciato a creare immediatamente… in
questo tipo di spettacolo… com'era stato per "Edzi re", lo spettacolo che
abbiamo fatto sul viaggio in Africa… la comprensione che ci sarebbero state più
fasi. Quindi c'è stato un primo evento dove io ho sostituito Antonio e un altro
dove Simone ha sostituito Paolo e lo spettacolo è iniziato com'era successo per
"Edzi re"… "Edzi re" ha vissuto almeno quattro vite diverse con le uscite di
varie persone… Chiara… e poi Fiammetta e Simone… insomma, stessa cosa per
"Affabulazione", si è dipinta la stessa strada. Questa è una cosa su cui
Ygramul soffre molto ma alla quale si deve preparare perché, essendo tutto un
gruppo di autodeterminazione e di politica di resistenza, è normale che le
persone subiscano tanto. La mancanza di soldi… perché non ci paghiamo… la
fatica delle prove non pagate… e delle andate in scena… e anche di spettacoli
che sono già molto provanti a livello fisico ed intellettuale. Senza nessuna
forma di retribuzione diviene una forma di… accanimento…non so come dire.
Insomma, Ygramul deve prepararsi, purtroppo, a questa storia di spettacoli che
mutano forma perché gli attori riescono a tener duro per qualche mese… e poi
mollano. Mollano perché è dato anche dalla formazione degli attori in Italia,
oggi…ci sono pochissimi attori, oggi in Italia, capaci di progettare un
percorso di ricerca di tre, quattro anni… perché normalmente… tutto ormai è un
usa e getta. Gli attori lavorano con i registi un mesetto o due, montano uno
spettacolo, vanno in scena qualche volta e poi vengono mandati a casa. Sono
rarissimi i percorsi attoriali di grande durata, di grande lunghezza… a meno
che non ci siano molti soldi in mezzo e allora gli attori subiscono… diciamo…
una resistenza, purtroppo, solo economica e non perché credono nel progetto o
perché ne sono appassionati … ma perché vengono pagati per fare duecento
repliche e le fanno. Adesso, quindi, entriamo nella terza fase. La terza fase è
ancora più difficile perché mancano Massimo, Monica e Daniele e quindi abbiamo
un assetto totalmente nuovo. Praticamente, del secondo studio di
"Affabulazione", rimaniamo io e Simone. Lo studio avrà delle piccole novità a
livello registico, scenografico… come ci sono già state nel passaggio dal primo
al secondo… ma non rivoluzionarie… soltanto degli assestamenti di regia, di
interpretazione. In questo caso si fa un esperimento perché ho proposto al
nuovo gruppo Ygramul… composto anche da Martina, da Gabriele, da Valentina… di
prendere in mano "Affabulazione" ma, poiché stiamo progettando il viaggio per
la Mongolia… e un lavoro su Samuel Beckett che faremo in Mongolia… loro hanno
detto: "Noi non ce la sentiamo di fare questi due lavori così grandi in
contemporanea" perché si tratterebbe di due piste molto poderose. Quindi loro
hanno preferito fare una specie di doppio gruppo: un gruppo Ygramul che sta
preparando un lavoro su Beckett e che partirà per la Mongolia e un gruppo
"Affabulazione" che… per forza… si apre all'esterno. Un gruppo formato da me,
Simone, Fiammetta ma anche da altre persone che stiamo cercando fuori. Non l'
abbiamo quasi mai fatto. In questo caso, sotto consiglio del gruppo, faremo dei
provini… e quindi adesso devo cercare delle persone lucenti… nel senso che non
sono attori… sono più che attori… sono persone che vogliono provare ad entrare
in un progetto di resistenza sul quale sanno che guadagneranno molto poco,
faticheranno molto e dovranno reggere un progetto a lungo termine, a lunga
gittata. Non facciamo venti giorni di prove e dieci di spettacolo come nella
routine italiana… facciamo un percorso di prove lungo… probabilmente di tre
mesi e poi probabilmente un andata in scena che per noi deve avere una durata
di… boh… forse un anno, però, insomma… prevedere che ci sarà un arco lungo di
andata in scena.
D – E tu sai già come strutturare il provino affinché ti aiuti a trovare
questa tipologia di attori?
R – Si… in realtà si perché ci sono alcuni esercizi del mio metodo… dell'
Esoteatro… che sono puntati a quello. Nel senso che una delle cose che ho
capito negli anni è che… non so come dire… soffrendo molto per la mancanza di
persone che uscivano/entravano dal gruppo … che fa parte della struttura del
gruppo Ygramul però crea molta sofferenza, molti lutti… perché ti innamori
delle persone e poi queste se ne vanno, com'è giusto che sia… non c'è niente di
sbagliato, però fa male… io ho iniziato a capire mano a mano ( e in questo il
gruppo mi sta aiutando a farlo) come riconoscere qualcuno che possa resistere
all'utopia di Ygramul… perché, oggettivamente, è un utopia. È come prendere una
persona e capire: "Tu puoi reggere all'Anarchia?"… cioè "puoi vivere in
anarchia"? perché è una cosa non facile che crea dei grandi problemi con se
stesso, con la propria vita e crea una capacità di resistere allo sdoppiamento.
Cioè tu devi sapere con coscienza che hai una doppia vita… ti stai creando una
doppia vita, una vita che è legata al concetto di anarchia… alla proprietà
comune, al lavoro non più individuale ma di gruppo, allo sciame… ed una vita
che è la tua, individuale… dove lavori: fai l'operaio, fai il cameriere, fai
anche l'attore… perché no?... ma che non ha quasi niente a che vedere con
Ygramul. Ygramul rimane un isola strana, molto separata dal reale, dove si
producono cose che poi vengono sparate nel reale. Chi lavora all'interno, però,
deve sapere che sta lavorando in una maniera… che per l'esterno sarebbe
volontariato o non so come chiamare… è quella che una volta era la bottega d'
arte. Tu stai lì e fai gavetta… per fare arte. Quindi si, ho degli esercizi.
D – Legandomi un attimo al concetto di Esoteatro che hai prima citato… nel
flyer riguardante i provini ho letto che l'estetica di questo tuo spettacolo è
legata all'Esoteatro, per l'appunto, e all'antropologia teatrale…
R - … si…
D - … mi potresti approfondire un attimo questo tuo lavoro ?
R – Vuol dire che gli attori dovranno, nelle prove stesse, fare un percorso di
immersione nelle danze balinesi, nella maschera balinese. Io gli farò vedere l'
esercizio, faremo insieme gli esercizi di danza e quindi cercheremo di portare
subito loro l'esperienza che io ho avuto lì a Bali. Cercheremo di investirli in
quest'esperienza… ascoltare le musiche, vedere le immagini… fargli vivere un
minimo quell'imprinting di antropologia che noi ci portiamo dietro. Dall'altro
lato, l'Esoteatro fa esattamente questo… nel senso che io devo riconoscere, con
il provino, degli attori che siano in grado di prendere il loro normale stile
attoriale… quello che già sapevano… e metterlo un po' in discussione…per fare
qualcosa che probabilmente non hanno mai fatto. Questo non vuol dire cancellare
quel che si è, vuol dire soltanto… come nell'esoscheletro… aggiungere delle
ossa esterne rispetto a quello che tu sei. Il corpo rimarrà sotto, quello che
si mostrerà nello spettacolo saranno le armature che noi montiamo sopra l'
attore… e che lui da dentro muove. Sono in qualche modo delle … come, appunto,
nei riti che abbiamo visto in giro per il mondo… sono delle uscite fuori di sé…
come nella trance. In qualche modo sopra il corpo si montano le maschere, si
montano gli oggetti del rito… si monta il rito stesso… e quindi l'attore da
sotto lo muove come… non so… come se fosse un danzatore delle ombre balinesi,
un portatore di maschere. Bisogna capire chi è in grado di farlo. Non tutti gli
attori sono in grado di farlo, non tutti sono disposti a farlo, perché spesso
fa anche entrare in crisi con se stesso. Uno perché, avvolte, uno si misura con
cose che non sa fare e che fa fatica ad ammettere… come noi abbiamo fatto molta
fatica a capire… un pochino… un minimo le danze balinesi. Sono cose che… sono
completamente dall'altro lato del mondo, a cui non siamo abituati. E a capire
che andiamo verso un tipo di teatro che non sta comodo a nessuno… l'attore
arriverà con degli strumenti e noi, invece, andremo a studiare altri strumenti…
molto diversi da quelli che lui conosce, che non gli appartengono. Questo
depista molto, crea molto fastidio, crea un cortocircuito… io mi ricordo di
molti attori andati in crisi per questa ragione… come a dire: "ma io ho già
tanto, perché non usare quello che ho?"… e invece quello che hai serve da
carburante per qualcosa che assolutamente non hai e che non conosci… che è l'
esperienza del viaggio. Però è come un senso di un continuo non accontentarsi…
di voler spingere il passo oltre, di voler correre… questa sensazione fa molto
male, fa stare molto in ansia… in vertigine continua… sembra che non riesci mai
a sederti… però questo è Ygramul. Per questo motivo Ygramul si vede anche come
uno sciame… è un movimento vorticoso come il discorso della Patafisica che non
si accontenta mai. Avvolte è anche un buco nero e quindi una specie di… come
Ubu… un infinito divorarsi senza mai riuscire ad accontentarsi e fermarsi.
D – Tornando a quella parentesi che hai aperto sul viaggio… e vista la natura
del gruppo… volevo chiederti: cos'è, per te, il viaggio? E come lo leghi al
teatro?
R – Allora… il viaggio in generale, fatto nel modo in cui noi l'abbiamo
progettato… l'abbiamo sempre vissuto molto diversamente dal concetto di viaggio
turistico cioè del fatto, semplice e banale, di spostarsi e vedere altri
luoghi. È un po' più complicato perché nel nostro concetto di viaggio è molto
importante entrare a contatto con la vita di quei luoghi, la reale vita…quindi
con i suoni, i sapori… ma anche la letteratura, il pensiero… la vita pratica.
Quello che poi Pier Paolo Pasolini dice "la vera vita" cioè la pratica della
vita. Nei nostri viaggi cerchiamo, quindi, di lavorare sempre nel piccolo… cioè
nel contatto: il villaggio, il contatto con gli anziani, con i bambini, gli
ospedali… le situazioni in cui la vita viene maggiormente fuori proprio perché
sono luoghi non-turistici e quindi dove dove non c'è nulla della facciata
dipinta per abbellire le brutture dell'esistenza. È come se… appunto… uno
venisse a Roma. È chiaro che il turista si dirige al Colosseo… la persona che
invece vuole davvero conoscere Roma va a conoscere i barboni alla stazione
Tiburtina, va a parlare con i centri di accoglienza a piazza Vittorio… vede la
parte di Roma che è, tra l'altro, la parte pulsante… viva. Il mercato del
pesce, il mercato dei fiori… la parte che più… non so come dire… ha i muscoli.
Noi abbiamo questa concezione del viaggio molto… diciamo… nel dettaglio.
Cerchiamo di conoscere non i paesi ma i dettagli di alcuni paesi… alcuni
particolari: una piccola cittadina, un piccolo paese… non le grandi strade, i
grandi monumenti. Il secondo aspetto è che questi viaggi servono, appunto, a
confondere le idee quindi a cercare di non creare… come fa un turista… delle
analogie con la propria casa… l'andare in un luogo e vedere quante similitudini
o differenze ci stanno rispetto alla propria nicchia, alla propria conoscenza…
ma al contrario, cercare di comprendere che la propria esperienza è molto
parziale e che esistono molti modi realmente, profondamente, diversi di
pensare, di vivere, di praticare l'arte… e quindi di fare teatro. Cercando
proprio di spezzare il termine comparativo che, al momento, è quello su cui
viviamo perché serve a sopravvivere. Nel senso che per la sopravvivenza noi
abbiamo bisogno continuamente di fare comparazioni tra gli oggetti per trovarci
a nostro agio… e per non sentirci mai troppo spaesati. Il tentativo, anche se
molto difficile, è proprio quello di creare uno spaesamento… mi sposto di paese
per non riconoscere il mio paese, per non riconoscerlo più e per fare in modo
che un attore… al suo rientro in Italia… possa scegliere ogni volta… ri-
scegliere i suoi strumenti, ri-scegliere la sua voce, ri-scegliere il suo
corpo. In modo da mettere tutto su un atto politico, l'atto della scelta.
Cerchiamo di subire il meno possibile… anche i processi mentali di
sopravvivenza… e di svegliarli in modo che tutto sia più attivo sul concetto di
"scelgo cosa fare", "scelgo che arte fare", "scelgo che stile usare"…che è una
cosa su cui gli attori fanno molta fatica perché è normale che anche la
strumentazione, dopo un po', prenda una specie di assestamento. Si forma uno
stile, un manierismo. Ogni attore trova il suo manierismo, conosce cosa gli fa
comodo… ed è normale che questo avvenga anche per Ygramul… non è che non
succede, però… diciamo che il tentativo è di castrare la formazione di questa
pelle calda che ci avvolge… e cercare di fare continuamente queste
introspezioni depistanti che creino scombussolamento, depista mento.
D – Parlando di viaggio e di "Affabulazione" ti vorrei chiedere… perché Bali?
E come è arrivato Pasolini a Bali? Inoltre… questo vostro viaggio in Indonesia
si ritrova a cavallo tra un viaggio fatto precedentemente in Africa ed un
prossimo che avverrà in Mongolia. C'è una logica nelle tappe che percorrete?
Come avviene la scelta di un viaggio?
R – Mmmh… allora, per capire bene tutti i ponti logici che ci sono tra
Pasolini, "Affabulazione" e l'Indonesia si può leggere il materiale d'
approfondimento presente sul nostro sito (www.ygramul.net) perché lì ci sono
delle schede informative …
D - … ti riferisci alla rivista "Teatrerie 14" ?
R – Anche. Su Teatrerie 14, sul programma di sala… insomma, si trovano più
informazioni. Per dire qualcosa in maniera sintetica… il passaggio è un
passaggio di senso, mai di forma. Qualcuno, quindi, vedendo chiaramente la
forma del teatro balinese e vedendo poi la letteratura di Pasolini… e
soprattutto quella di "Affabulazione"…direbbe che non c'è alcun legame, che
sono totalmente fuori logica. In realtà c'è un legame profondo sul senso e su
due ponti… per sintetizzare. Un passaggio è quello del rito e della sacralità
del gesto. Pasolini nella sua poetica del teatro è convinto che si debba
lottare per riuscire a riportare il teatro in una fase rituale dove le persone…
in qualche modo… quando si ritrovano coinvolte in questo rito non si riescono
più a riconoscere ne riescono a delegare, a quello che sta succedendo, una
deresponsabilizzazione del gesto. Eppure, in qualche modo, vengono pure loro
disorientati… vedono un qualche cosa che per comprenderla gli attivi, per
forza, il loro ragionamento e la loro presa di posizione. Loro, quindi, devono
prendere una posizione per riuscire a tradurre l'opera…
D - … quello che già urlava Antonin Artaud nel "Teatro e il suo doppio"…
R - …esatto, siano costretti a mutare e prendere loro una forma… loro a
interpretarlo, tradurlo.e dall'atro lato comprendono mano a mano, come se
dovessero essere educati, l'esigenza di questo rito del teatro come luogo in
cui si va ogni tanto, ritualmente, ciclicamente, per riscrivere le proprie
scelte. Come se durante la vita una scelta presa, anche politica, mano a mano
si affievolisse… si appoggiasse… si calmasse perché la vita prosegue ed io
avessi bisogno, ritualmente, ciclicamente… come per i Greci… di tornare a
mettere in discussione la mia vita e a riprendere le mie scelte. Quindi scelgo
di essere una persona… come faceva il Living Theatre…anti-fascista e
democratica ma la democrazia… nella vita comune… mano a mano sfuma, sfuma,
sfuma… che io non mi rendo più conto, esattamente, di cosa vogliano dire le
parole "anti-fascismo" e "democrazia". Mi scordo dei partigiani, mi scordo del
fascismo, mi scordo del nazismo… allora c'è bisogno che ogni tanto io torni in
teatro e che un'opera d'arte mi racconti nuovamente cosa vuol dire essere anti-
fascista… che io abbia bisogno di tradurlo nuovamente a me stesso per dire
"ecco, è vero… è vero, io lo sono e voglio continuare a praticarlo, voglio
continuare a esserlo" e mi riattivi. Questo è il discorso politico. E Bali è
questo. A Bali il rito teatrale è soltanto legato a questo… cioè alla vecchia
metodologia di narrare gli archetipi com'era per i Greci… di avvisare il mondo,
la civiltà, dei pericoli che ci sono e di come bisogna stare attenti per fare
in modo che le cose non si ripetano… che il nazismo, il fascismo non si ripeta…
che il male non vinca. In maniera molto profonda, come nell'universo balinese,
attraverso non una negazione del male bensì una sua accettazione… quindi l'
equilibrio come nel percorso dello Yin e Yang… dell'oriente… quindi sapere che
il male esiste, saperlo vedere e osservare, saper entrare in equilibrio con lui
per contrastarlo in modo che non avanzi e devasti tutto. Questa è la parte
rituale. Il teatro balinese è così e Pasolini chiedeva che in Italia, in
Occidente, diventasse questo. l'altro aspetto… sempre di questo ponte con Bali…
è legato al tema di "Affabulazione" che è, in qualche modo, il possesso della
gioventù… il rapporto tra gli anziani e i giovani, il rapporto tra i padri e i
figli, il rapporto tra le generazioni. Anche lì è molto importante perché per
Pasolini questo rapporto va continuamente messo sotto osservazione. È un
rapporto di potere pericoloso perché in esso si legano tanti nodi molto
difficili da affrontare per l'uomo: il passare del tempo, la morte che s'
avvicina, il fatto che l'uomo, nel tempo, diventi sempre meno produttivo.
Questo, per Pasolini, è un problema molto grosso per la cultura Occidentale e
del Cristianesimo… anzi, meglio del Cattolicesimo… perché vuol dire che gli
uomini prevedono, nella loro storia occidentale, un elemento di grande
sofferenza poiché sono progettati in un mondo patriarcale. Per cui… mano a mano
che avanzano nella vita diventano sempre, obbligatoriamente, più rabbiosi nei
confronti delle nuove generazioni e vogliono impossessarsene… e controllare… e
quindi si formano vari schemi di movimento. Su questo Bali è importante perché
per Bali c'è quasi l'opposto. Nell'universo balinese i bambini sono sacri, sono
intoccabili… l'infanzia è un mondo veramente divino che bisogna cercare di
conservare e proteggere il più a lungo possibile… proprio nella realtà rituale,
religiosa… e quello che racconta Pasolini della nostra malattia occidentale e
cattolica a Bali si riversa con violenza. Bali è uno dei luoghi dove si riversa
maggiormente il tasso di pedofilia del mondo occidentale… dei tedeschi, degli
italiani, americani, australiani… e c'è un vero mercato della pedofilia, della
prostituzione infantile. Quindi per noi Bali è come se rappresentasse quello
che Pasolini dice, a parole, in maniera poetica e, avvolte, un po' astratta e
metaforica. Si realizza. Pasolini dice… "non abbiamo bisogno di fare violenza
all'infanzia e di controllarla, di manipolarla, di bloccarla… lo facciamo
attraverso varie cose: la pubblicità, il mercato sull'infanzia, etc… etc…, e lo
facciamo anche realmente, fisicamente, con la violenza che si consuma anche
nelle case in occidente… moltissimo". In Italia, però, è come se fosse molto
invisibile questo aspetto. Pasolini lo vede perché è un grande poeta ma è una
specie di vaticinio, come ascoltare Tiresia. Lì si vede. A Bali si vede. Si
vedono gli italiani andare lì… come anche in Brasile ed avere tantissimo
turismo sessuale… e a Bali è molto concentrato sull'infanzia… quindi per noi
era proprio il luogo dove incarnare le visioni di Pasolini.
D- E questa scelta di Bali a cavallo fra l'Africa e la Mongolia?
R – Allora… in realtà io credo che tra parecchi anni capiremo il perché si è
scelto quei posti… perché saltiamo da un posto all'altro…
D - … ma tu li scegli anche per la realtà teatrale che questi luoghi offrono…
R - …si. Diciamo, per ora, a livello razionale io riesco a dire due, tre
passaggi. Ci sono molte cose che per me sono inconsce, sono oniriche… perché
molti dei viaggi sono nati proprio dai sogni… non lo so… da stimoli, da sesti
sensi che sono percepiti…
D - … da richiami…
R - … si e quindi non so definirli. A livello razionale, logico, noi scegliamo
sempre dei luoghi che incarnano la tematica che abbiamo scelto di affrontare.
Quindi il gruppo sceglie: "quest'anno… questi anni… vogliamo lavorare sulla
tematica dell'aids" e allora cerchiamo un luogo dove l'aids si incarna in
maniera violentissima, il posto dove c'è la maggiore mortalità di aids… il
Malawi, ok? Quest'anno vogliamo lavorare sul contrasto fra città e
nomadismo…ok? Civilizzazione ferma e civilizzazione rotante, nomade. Qual è il
luogo dove questo è incarnato maggiormente? La Mongolia. La Mongolia perché c'è
un'unica vera città, in un posto sterminato grande sei volte l'Italia, e tutto
il resto dei popoli gira e basta. C'è un' unica metropoli. E quindi si incarna.
E così via… la pedofilia a Bali. Quindi c'è un motivo politico… cioè dove
trovare più possibile quel tema che vogliamo affrontare… e dall'altro lato
andiamo lì perché c'è una realtà teatrale… appunto, il discorso che facevamo
prima… che può mettere i nostri strumenti in discussione, può rinnovarli.
Andiamo, così, in un luogo che abbia delle danze antiche, delle maschere
antiche, dei canti, dei riti di teatro antichi perché questo ci permette di
metterci a confronto con vari strumenti del teatro.
D - Ti faccio un ultima domanda…
R - … vai…
D - … parlando di "Affabulazione" e di rappresentazione… in questi termini…
cosa "rappresenta" per te questo spettacolo?
R – Per me questo spettacolo rappresenta proprio (ormai anche in maniera
fisica) il dolore del tentativo che i padri hanno di voler possedere i figli. E
questo anche in maniera organica perché nello spettacolo è questo quello che è
successo. Un regista… anche in maniera superficiale è comunque un padre… dello
spettacolo… ma anche degli attori che vi partecipano… e io durante questo
spettacolo ho perso quasi tutti i miei figli. Sono morti per motivi chiari…
perché lo spettacolo parla di questo, quindi li metteva in confronto con cose
violentissime… ovvero il fatto che io cercassi di possedere le loro vite.
Questo un regista lo fa con i suoi attori ma lo fa in maniera… senza dirglielo…
invece qui lo dicevamo.
D – Mi ricordo una battuta dello spettacolo che vidi nella sua prima fase… una
battuta anche abbastanza forte in cui si richiede la necessità del figlio di
ammazzare il padre… per non essere ammazzato… per rompere la ciclicità di
questa tragedia. Questa, per te, è l'unica chiave che esiste effettivamente per
rompere il ciclo della Storia? Bisogna ammazzare Kronos?
R - secondo me si. L'unico modo è questo. C'è un modo molto più sofisticato
che Pasolini non scrive in "Affabulazione"… vorrebbe che accadesse ma non
riesce ad accadere… e che anch'io vedo come Pasolini… che in realtà non possa
accadere… cioè che i figli riescano a dimenticarsi i padri. Allontanarsi dai
padri… ma non con rabbia ne con malinconia… riuscire proprio a dimenticarseli.
Questa cosa credo che, forse, soltanto alcuni popoli tipo gli Indiani del Nord
America… solo alcuni popoli con un grandissimo livello di conoscenza riuscivano
a fare questo. credo che per noi sia impossibile. Come dice Pasolini… qualunque
figlio tenti di abbandonare il padre in realtà, poi, torna da lui come un Don
Chisciotte con la coda tra le gambe. Non ce la fa, deve chiedere perdono. Si
sente in colpa tutta la vita se lo fa oppure, dall'altro lato, lo uccide. Non
ci sono vie di mezzo. Io credo, invece, che sarebbe meravigliosa una società
dove i figli amino i padri talmente tanto da poterli abbandonare e non avere
nessun senso di colpa nei loro confronti. Questo darebbe libertà a tutti, come
diceva Pasolini. Anche ai padri di continuare ad essere uomini e a non avere
tutta la vita quel legame con i figli che li obbliga a diventare più vecchi, a
sentirsi che gli stanno rubando il potere, a sentirsi privi di produzione … che
mano a mano non producono più… quando invece potrebbero restare uomini che
hanno dato vita ad una vita e che poi proseguono la loro esistenza indipendenti
da quella vita. Che poi è come fa la Natura… nessun animale ha un senso di
colpa verso il padre o la madre ne viceversa perché c'è un periodo in cui si
vive insieme ed uno in cui c'è uno stacco… proprio obbligato dalla legge
naturale… di maturità. I figli diventano adulti, i padri continuano la loro
vita. È uno spettacolo che racconta molto questo e lo racconta in maniera… in
scena molto organica… cioè dolorosa,fisica… come il rapporto vero tra un padre
ed un figlio… carnale come una madre che partorisce… quindi ci sono urla, c'è
il corpo nudo, c'è fatica fisica, sudore, dolore. Invece a livello della parola
c'è questa dislessia che Pasolini mette nel testo per cui la parola è davvero
affabulante. C'è un flusso continuo di parole, anche ridondanti, anche
didascaliche avvolte, anche retoriche. La parola è come se cercasse di
ammorbidire i toni del dolore. Nel mio immaginario è un po' come pensare ad una
persona che sta morendo in un letto… il suo corpo soffre, sta male, urla e la
parola gli fa una specie di ninna-nanna; lo vuole solo cullare. Quindi non è
che lo vuole far morire però lo distrae un po' da quel dolore… e nel nostro
spettacolo c'è anche un po' di questa dislessia. La parola non è del tutto
organica, cerca quasi di distrarti dalla sofferenza e continua a parlare,
parlare… diventa sciabordante, come il rumore dell'acqua. Viceversa il corpo
sta proprio male perché gli fa male la vecchiaia… il dolore… in scena ci sono
appunto le pugnalate, i tradimenti… fa male, c'è poco da fare.
di Vincenzo Occhionero
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