... il 29 novembre 2004, inviata dalla O.N.G. Magis con lo scopo di realizzare un laboratorio teatrale integrato per gli alunni dell'istituto per non udenti con ragazzi normo-udenti. Il 29 Novembre è un giorno sbagliato per iniziare a lavorare, perché è la data di una festa nazionale molto importante e com'è buona usanza in Albania, un giorno di festa è accompagnato da almeno altri due o tre giorni di riposo dalla festa. Scendo all'aeroporto di Rinas e Florin, l'autista dell'O.N.G. partner albanese, mi prende e mi porta a Tirana con un macchinone della cooperazione italiana. La strada dall'aeroporto a Tirana è tutta buche, nella prima parte attraversa una campagna semi urbanizzata, nel senso che ci sono tante case in costruzione e anche case costruite ma con il tetto ancora di cemento grezzo con l' armatura di ferro delle fondamenta che fuoriesce, a cielo aperto.
"Come mai tutte le case sono così?" - chiedo a Florin e lui che è di poche parole mi dice: "Aspettano il momento giusto per salire di un piano... quando hanno i soldi.o se si sposa un figlio." E' questa è la prima immagine dell' Albania, un cantiere senza regole. La seconda è quella di una vecchia in mezzo ad un aiuola, che tiene con un guinzaglio di corda una mucca. L'aiuola però, è una grande rotonda per svoltare verso Durazzo o verso Tirana, alle sue spalle un gigantesco cartellone della Vodafone. Secondo pensiero: qui passato e presente sono ancora molto intrecciati. Io la guardo e rimango a bocca aperta, lei mi risponde con un sorriso sdentato, anche Florin sorride, allora io approfitto di questo suo scioglimento per fare la domanda stupida che ho nella testa da quando sono salita sull' aereo dell'Albanian: "Voi dite Albània o Albania?" e lui: "Sciperia!" [Sqhiperia]. Questo è il nome dell'Albania, in albanese, vuol dire terra delle aquile. noi, gli stranieri, la chiamiamo Albania, paese dell' alba, e allora forse capisco la cosa più importante: di questa terra non so nulla! Stiamo per entrare in città: traffico, tanto, troppo e puzza di fumo, di smog. é impossibile respirare perché oltre ai gas, che qui non sono certo raffinati, c'è la polvere, la polvere dei cantieri, dei palazzoni in costruzione, giganti in cemento da 10 o 15 piani, impalcature senza sicurezza e vasi di fiori nei primi balconi , già ci abitano dentro!. C'è fame di case qui. Arrivo nel mio alloggio, una stanza della Caritas, ho un'ora per rinfrescarmi prima di iniziare con gli appuntamenti. Accendo la luce, non c'è. Apro la finestra ci sono degli operai che stanno buttando giù la casa davanti, tengo la tapparella semichiusa, quanto basta per potermi muovere senza sbattere e vado in bagno a lavarmi, non c' è acqua. Cerco il portiere e lui: "No acqua, no luce. tre.. quattro ore niente!.sempre così a quest'ora! " allora capisco un altra cosa: qui i problemi sono di tutt'altra natura di quelli che posso conoscere io. Poi iniziano gli incontri:il direttore dell'istituto per non udenti, il responsabile di un centro scout per trovare dei ragazzi normo-udenti, qualche insegnante e tutti mi fanno capire in modo più o meno diretto che la mia venuta è inutile, che un progetto di integrazione per disabili non ha senso in un paese dove la parola integrazione non ha lo stesso senso che intendo io, in un paese dove la povertà rafforza la discriminazione e le differenze. "È impossibile!"- mi dice un italiano che lavora lì da anni - "Nessuno varcherà quel cancello, entrare in quell'istituto significa passare dalla parte degli ultimi e qui tutti vogliono diventare i primi, scrollarsi di dosso la povertà, il passato, tutto quello che li fa sentire dei pezzenti o miseri". Ma quando incontro i bambini dell' istituto, che mi vengono incontro con un grande sorriso, che mi abbracciano e baciano, perché non hanno parole per dire: "Chi sei? Benvenuta! Giochi con noi?!" Non lo possono dire e così tutto passa per il contatto fisico, intenso, caloroso, quasi soffocante, sento chiaramente dentro di me che è tutto possibile e comincio a capire che sarà l'esperienza più estrema e più bella della mia vita. Nei primi giorni seleziono i ragazzi più grandi, tra i 14 e i 17 anni, per fare il laboratorio e già dal primo incontro capisco che ho davanti dei ragazzi speciali, quello che non riescono a dire a parole lo dicono in maniere più piena con gli occhi, i gesti, il corpo. Hanno un espressività e un immediatezza comunicativa che un attore ci arriva solo con tanto studio o perché è un vero talento. Loro si affidano dal primo momento, non hanno idea che quello che gli chiedo di fare ha a che fare con il teatro, loro semplicemente si liberano, inventano, creano, giocano. Poi arrivano i coetanei udenti che sono riuscita a recuperare nelle scuole limitrofe, senza autorizzazioni, senza appoggi istituzionali, semplicemente dicendo: "Sono Italiana! Vorrei parlare con il direttore o con qualche insegnante." Ed ecco che ogni volta si spalanca la porta e il cuore , basta dire sono Italiana e il volto duro delle bidelle che mi sbarrano il passaggio si scioglie. Perché in Albania, l'Italia è un sogno, è una terra sorella, che sorride dalla televisione, che canta da Sanremo, la terra di Celentano, del lavoro, dove ci sono i loro figli, mariti, parenti. E allora forti abbracci e prima di entrare a scuola si va al bar, perché si deve bere un caffè insieme e devono sempre pagare loro. Quanto generosità in Albania e quanta ingenuità, loro ci credono così amici, così aperti nei loro confronti e così sereni come gli spot della pubblicità. I ragazzi che vogliono venire a fare il laboratorio sono tanti: settanta partecipano alla selezione, ne scelgo dieci. Ed ecco che l'impossibile diventa possibile. Quanto pregiudizio e auto-disprezzo fiacca l'Albania! L' incontro tra gli udenti e i non udenti all'inizio è sereno, c'è tanta curiosità e allegria. Gli udenti restano a bocca aperta davanti all'abilità fisica e alla capacità dei non udenti di improvvisare e raccontare senza parole emozioni, situazioni e rapporti. I non udenti invece, vedono negli udenti una libertà e una sicurezza che loro che vivono chiusi dentro l' istituto non hanno. Poi c'è una fase di conflitti, di inimicizie, anche di botte, ma il lavoro insieme elimina i problemi e li muove verso lo stesso obiettivo. L'obiettivo è arduo: mettere in scena "Sogno di una notte di mezza estate" di William Shakespeare. Nella fase finale del laboratorio vengono a Tirana due straordinari artisti, uno scenografo e una costumista che attivano i laboratori di scene e costumi coinvolgendo i ragazzi e alcuni insegnanti. Si avvicina la data dello spettacolo e tutto di nuovo sembra impossibile: il direttore si diverte a metterci i bastoni tra le ruote ogni giorno, il teatro si inventa problemi per spillare sempre più soldi, gli insegnanti fanno a gara per farmi impazzire , in più non abbiamo il pulmino per andare in teatro e portare trenta ragazzi di cui venti sono non udenti in giro per Tirana non è facile , ma io mi fido di loro come loro si fidano di me e così il primo giorno di prove in teatro andiamo con l' autobus e ci portiamo dietro anche una parte delle scenografie. Entriamo in teatro, per molto di loro non è solo la prima volta sul palco , la anche la prima volta in teatro, non hanno mai fatto gli spettatori e sono già attori. Abbiamo provato con grande impegno, per tre giorni, al teatro nazionale dei bambini di Tirana e il giorno della generale realizzo che sta prendendo corpo un sogno. Poi arriva il pubblico, quello vero, fatto di tanti sconosciuti. Io seguo lo spettacolo dalla sala regia e da su sento l'emozione del pubblico, le loro risate , i loro applausi ripetuti, caldi. Alla fine dello spettacolo attraverso la platea e vedo tanti occhi umidi, tutti in piedi applaudono, quanti ringraziamenti e quanta commozione, alcuni si chiedono chi era sordo. "Come quasi tutti?...Non è possibile, ma sono normali e bravi, bravissimi!"- Altri invece, se ne sono dimenticati. Salgo sul palco. Che gioia per loro, stare davanti a tanta gente che li festeggia, tutti quei ragazzi e ragazze udenti che li acclamano, che voglia di conoscerli. I più sfacciati del gruppo fanno i buffoni con le ragazze in prima fila, mentre i più timidi hanno gli occhi sgranati dalla gioia. Chiudono il sipario e non riesco a portarli dietro le quinte, si buttano sul pubblico, vanno ad abbracciarli a stringere le mani a prendere fisicamente quel calore. I più estroversi continuano a giocare la loro parte con il pubblico. Nei camerini non trovo Lorence ed Auloni, due degli attori non udenti, esco e li vedo davanti al teatro, con un grande cerchio di persone intorno, che improvvisano una scena comica. Che Clown!!! Non hanno solo fatto un bello spettacolo, hanno danzato la vita sul palco, si sono dimenticati della loro paura del mondo esterno, del loro handicap e gli udenti, che solitamente spiano dal cancello dell' istituto, per loro non sono più degli estranei che possono deriderli. Sento dentro di me il rumore di un esplosione, è l'esplosione del muro della discriminazione che frana a terra e mi sento leggera, tanto leggera come leggeri sono i passi dei miei ragazzi che calpestano le macerie di quel muro che hanno abbattuto così coraggiosamente. Il sogno si è realizzato e ha contagiato chi era presente, infatti le autorità hanno riconosciuto il valore di questa esperienza e ci hanno permesso di andare avanti. L'Istituto Italiano di Cultura ci ha sostenuto per fare altre repliche e grazie al Ministero degli Esteri italiano lo spettacolo è andato in giro per l'Albania e ora in Ottobre-Novembre verrà in Italia. Saranno a Roma il 2 Novembre e poi a Bari , Torino, Milano. Ma spesso quando si sveglia la capacità di sognare si affaccia anche la possibilità di deludere, ora i ragazzi hanno finito l' istituto e quando torneranno in Albania non hanno niente, né la possibilità di continuare gli studi, né un lavoro. Il nostro sogno ora è di raccogliere dei fondi con la repliche e con una campagna di sensibilizzazione per permettere ad ognuno di loro di cominciare a vivere nella propria società non come un peso o un problema, ma serenamente e in modo dignitoso.
T. S.
1 commento:
Bellissimo racconto
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